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BLOQUE 1. Ensayistas y Literatas

L’ironia dell’esistenza: una sensibile riflessione tra le pagine di anna marchesini

Michele Carmone

Universidad de Granada

Riassunto: l’articolo si presenta come un’analisi dei tre libri in prosa di Anna Marchesini, rinomata attrice televisiva e di teatro: Il terrazzino dei gerani timidi, Di Mercoledì e Moscerine. Opere diverse tra loro per i temi affrontati dall’autrice, ma che riuniscono caratteristiche in comune, quali la raffinatezza e ricercatezza del linguaggio e alcune similitudini che i personaggi principali presentano con i personaggi teatrali che da sempre ci fanno ridere e ci affascinano.

Parole chiave: narrazione, personaggi, vita, tragedia, ricordi, ironia.

1. Introduzione

“Cosa c’è di più comico della tragedia?

È irresistibile di per sè”

Anna Marchesini, intervista a Che tempo che fa (10/03/2012)

Anna Marchesini: attrice, personaggio, icona della televisione italiana, ma anche narratrice. Sì, proprio narratrice, non esattamente scrittrice, perché è all’arte del narrare che l’artista orvietana ha fatto affidamento negli ultimi anni per raccontarci e raccontarsi, per condividere con i suoi fans e lettori i suoi ricordi, i suoi pensieri, la sua visione della vita, ma anche della morte, e delle esperienze, speranze, paure e sensazioni ad esse legate. Tutti sostantivi, guarda caso, femminili, così come le protagoniste di quasi tutte le storie che la Marchesini scrive, e che, sorprendentemente, irrompono nel nostro immaginario sin dal suo primo libro, Il terrazzino dei gerani timidi, come se le storie stesse invadessero all’improvviso quel grande palcoscenico teatrale che ci sembra di osservare con curiosità dal momento in cui smettiamo di guardare le emblematiche immagini di copertina dei suoi libri e ci addentriamo nella lettura della prima pagina di ognuno di essi. Sono, appunto, quasi sempre le donne le eroine dei romanzi di Anna Marchesini, donne che spesso sembrano ricordare alcuni dei personaggi di maggior successo dell’attrice, come la Perpetua e la Madre Badessa de I Promessi sposi, o la Signorina Carlo, la sessuologa, ecc., ma in un modo sottile e misterioso, quasi volessero rivelare le loro origini, la loro vera natura. Perché sono le storie, le vite dei personaggi, i loro ricordi, successi ed insuccessi, i loro timori, le loro debolezze e le loro emozioni i veri protagonisti dei romanzi dell’autrice, la quale, in varie interviste, ha affermato di coltivare una vera e propria passione “per le vite degli altri”, di possedere un’inguaribile curiosità verso i piccoli fattori, i minuscoli gesti che apparentemente sono senza valore, ma che in realtà influenzano le decisioni e gli avvenimenti delle nostre esistenze. Gesti e situazioni descritti e raccontati attraverso un invisibile filo poetico che si intreccia con le vite a cui appartengono, un’indagine minuziosa che porta il lettore a scoprire il motivo che spinge i protagonisti delle storie a pensare ed agire in modo da cambiare il corso e il significato delle loro esperienze.

La descrizione, tanto di luoghi e persone come di situazioni e sentimenti, è, infatti, uno degli strumenti narrativi preferiti della Marchesini scrittrice. Tramite un linguaggio che va dall’italiano letterario e ricercato (appaiono nella narrazione improvvisi ed inaspettati elenchi di ricercatissimi aggettivi o di verbi, che enfatizzano le descrizioni di oggetti e situazioni con accurata originalità) ad alcune espressioni alle volte colloquiali e dialettali, le descrizioni si spingono aldilà della narrazione lineare e dei confini del tempo e dello spazio, spesso inserendosi all’interno di generosi flashbacks che disseppelliscono i ricordi di momenti vissuti e invitano il lettore ad immergersi nella memoria e nei segreti dei protagonisti.

Memorabile la descrizione delle azioni che si svolgono in cucina nel racconto “La torta nuziale”, dalla raccolta di racconti Moscerine, nella quale è evidente la grande passione dell’autrice per le parole e la totale mancanza di punteggiatura:

Si pasticcia si insuga si impana si squaglia si frulla si mescola si tagliuzza si manteca si frigge si scola si assaggia si mette a bollire si farcisce si inforna si sforna si umetta si monda si sbollentisce si cuoce si addensa si sfuma si sbatte si stende si guarnisce si impasta si avvolge si svolge si sala si impepa si insaporisce si scotta si unge si dora si infarina si sbuccia si grattugia si affetta si monta si assaggia si sbriciola si salta si spolpa si disossa si accende si spegne si abbassa si stempera si infila si copre si scopre si fa evaporare si allunga si fa rosolare si zucchera si svapora si riscalda si netta si snocciola si sgrana si ammolla si pesa si passa al setaccio si travasa si spruzza si versa si spolvera si scarta si condisce si assaggia e alla fine si impiatta. (Marchesini 2014: 78)

Ricordi e situazioni che a volte sorgono da esperienze autobiografiche, da storie di vita vissuta dall’autrice e dai personaggi da lei incontrati mentre, durante la sua infanzia, osservava il giardino di una casa disabitata da quel terrazzino pieno di gerani “abituati tutto il giorno a vedere un po’ di mondo”, come descrive nel suo primo romanzo Il terrazino dei gerani timidi. Altri dei protagonisti dei tre romanzi sono scaturiti dall’immaginazione di Anna Marchesini, come le affascinanti protagoniste del suo secondo romanzo, Di mercoledì, personaggi fittizi, che, come racconta l’autrice, le “hanno chiesto” di raccontare la loro storia.

Storie spesso femminili, così come quasi tutti i personaggi che hanno reso famosa l’attrice nel corso della sua carriera, prima con il famoso Trio, accompagnata dagli inseparabili Massimo Lopez e Tullio Solenghi, ed in seguito nei suoi spettacoli teatrali. Perché è proprio il teatro, tanto quello classico come quello umile dei teatri off, la culla da cui nacquero “le femminacce”, come l’attrice stessa le definisce, i personaggi femminili a cui siamo tanto affezionati. La giovane Anna Marchesini, dopo i suoi anni di studio all’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, fece suoi i movimenti, le parlate, i vizi scenici delle attrici di teatro che tanto aveva studiato, ammirato e osservato, fino a trasformarle in oltre cento personaggi che arricchirono i palcoscenici e gli schermi di tutta Italia durante gli anni Ottanta e Novanta. L’interpretazione da parte della Marchesini di questi personaggi si basava spesso in una satira in cui si criticava l’eccessiva pomposità ed espressività nella tragedia o, quando si trattava di artisti alle prese con le loro prime esperienze a teatro, la poca sensibilità e la totale assenza di emozioni nell’interpretazione; lo vediamo in personaggi teatrali come l’attrice dai capelli rossi del Teatro Piccolo di Milano o come l’indimenticabile cameriera secca dei signori Montagné, interpretata volutamente in modo patetico, e l’inespressiva e piatta Giulietta shakespeariana dalle lunghe trecce un po’ hippy che ricorda molto i figli dei fiori degli anni Settanta.

Tra le “femminacce”, teatrali e televisive, troviamo anche la Signora Flora, il primo personaggio di Anna Marchesini, ispirato ad una donna realmente esistita che, a detta dell’attrice, viveva proprio sotto casa sua ad Orvieto. La Signora Flora, che parla il dialetto della città di cui è nativa l’attrice, fu solo il primo di una lunga serie di personaggi che portano in scena il suo mondo interiore, un mondo fatto di vite e personalità più o meno influenti nella costruzione della sua identità di artista.

2. Immaginario e teatro nei libri di Anna Marchesini

2.1. Il terrazzino dei gerani timidi

Ma prima ancora dell’artista c’era Anna, una bambina timida ed insicura, che non osava ribellarsi, così come racconta nel suo primo libro, l’autobiografico, almeno in gran parte, Il terrazzino dei gerani timidi. Dimentichiamoci, perciò, della bambina tenera e a volte piagnucolona dei suoi spettacoli teatrali: la piccola Anna dell’opera prima dell’autrice lascia spazio alla normale timidezza e alla ordinarietà, all’ubbidienza, con cui affronta le insidie e le incongruità che la vita in famiglia le pone innanzi. È emblematica e tenerissima, ad esempio, la scena della prima confessione –preludio della comunione che le verrà impartita entro poco– in cui la bimba, incerta e imbarazzata prima di essere ascoltata dal vescovo a proposito delle proprie colpe, esordisce con un tenero e forzato “ogni tanto disubbidisco ai miei genitori”, pur sapendo, lei a differenza degli altri, che invece se c’è un peccato che non le si può attribuire è proprio questo appena ammesso. Anna vive malinconica e triste in una famiglia di buona gente, timorata di Dio e per questo sempre incline alla penitenza, al calvario, all’espiazione. Anna, ragazzina intelligente e amante della solitudine, della lettura dei classici e del teatro, soffre silenziosa e infelice le incongrue scelte della madre, che, in buona fede, la sottopone a estenuanti visite caritatevoli a lontani parenti, remoti conoscenti o amici di costoro presso lo spettrale ospedale cittadino, le ricama vestitini lasciati a metà per risparmiare sul filo creandole imbarazzo con i compagni di scuola, la sottopone a feste di compleanno di massa, ammucchiate con quelle degli altri fratelli per sacrosante esigenze di risparmio.

La bimba patisce molto queste imbarazzanti situazioni; potrebbe anche ribellarsi, come tanti altri coetanei, a questa esistenza di coercizioni, ma preferisce sopportare in silenzio, anche a costo di consumare lascrime amare di tristezza e solitudine. Per fortuna il terrazzino del titolo le accorre in soccorso per ospitarla in un mondo interiore dove le buone letture la isolano in un limbo benevolo e assolutorio, mentre, incoscentemente, come la bambina che è, osserva e assimila modi di fare e comportamenti dei personaggi che incontra lungo il cammino della sua infanzia, colma di rassegnazione e ubbidienza, simile ad una Divina Commedia, in cui Virgilio è interpretato dalla madre dell’attrice, la guida attraverso il lungo cammino dell’infanzia e poi dell’adolescenza, e in cui le anime in pena o in attesa di redenzione sono gli abitanti della cara Orvieto, persone le cui esistenze, a volte corrose e sgretolate per gli avvenimenti di cui furono vittime, rimasero impresse nella sensibilità della piccola Anna. Ed è così che, mentre leggiamo Il terrazino dei gerani timidi, ci sembra di cogliere riferimenti ad alcuni dei più famosi personaggi della Marchesini, che fanno capolino quando meno ce li aspettiamo tra le pagine del romanzo, nonostante, però, siano anche i protagonisti di avvenimenti alle volte tuttaltro che piacevoli. La lunga lista di personaggi comincia con le suore del ricreatorio delle domeniche pomeriggio, la cui fedele descrizione ci riporta al 1990, anno in cui vedevamo ne I Promessi Sposi, nel convento in cui si rifugia Lucia, la schiera di uomini vestiti da suora, a capo dei quali c’era proprio lei, Anna Marchesini, che nel personaggio della Madre Badessa rispecchiava fedelmente, tutte le caratteristiche di Suor Giuseppina, baffuta monaca le cui disavventure vengono raccontate nel romanzo, trasformando la donna in una specie di marionetta scontrosa e severa:

Ma proprio sulla sua stazza si esercitava innocente il gioco feroce, soprattutto dei maschi, che goduti sgusciavano a terra, si sdraiavano per guardarle le cosce e smascellandosi dalle risate riferivano di mastodontiche brache larghe e peli lunghi e ricci come quelli di un uomo, e le visioni diventavano leggende, Suor Giuseppina un uomo sotto la veste da monaca […] (Marchesini 2012: 27)

Anche la madre della giovane Anna, nel suo tentativo di spiegare la sessualità alla figlia, ricorda sottilmente il famoso personaggio della sessuologa Merope Generosa, che si imbarazza e balbetta un po’, e che descrive gli uomini come furbi e mascalzoni:

[…] gli uomini, furbi e mascalzoni tutti, e qui prendeva vigore e si scaldava, per convincere la donna chiedono sempre di fare quella cosa come prova d’amore, accusando casomai la donna che non si concede di non amarli abbastanza e pur di raggiungere il loro scopo gli uomini sono in grado di fare moine, promesse, si dichiarano pure disposti a giurare alla donna di sposarla, ma se poi disgraziatamente la donna ci fosse cascata […] (Marchesini 2012: 50)

Qualche pagina dopo spunta anche una donna, in una giornata ventosa, che si lamenta per il brutto tempo con una vocina stridula e petulante, infantile e nasale, che ricorda molto nella sua descrizione alla signorina Carlo, famoso personaggio dell’attrice e icona della televisione italiana (tipica la sua frase “...che siccome che sono cecata...”), fino all’apoteosica “festa” della comunione, in cui la piccola Anna viene portata a casa di tre sorelle dalle caratteristiche decisamente grottesche e pittoresche, che sembrano create dall’immaginario di un regista teatrale: Caterina, la più giovane, nobile ed elegante nell’aspetto e nei modi di fare, come la contessa “marchesiniana” della tv degli anni Novanta, Ghita, la vecchia petulante e scorbutica dalla squillante voce e dai toni dialettali, come la signora Flora o Perpetua, la governante di Don Abbondio de I Promessi sposi, e Erminia, la taciturna pianista.

Tutti personaggi che Anna Marchesini afferma aver sempre avuto dentro di sé, che fanno parte del suo essere, non sono semplici imitazioni: sono creazioni che presentano caratteristiche delle personalità reali che la scrittrice raccoglieva e assimilava nel suo mondo interiore, dimenticando la timidezza e mettendo allo scoperto piccole sfaccettature della Anna Marchesini che senza il teatro chissà sarebbero rimaste celate nei sogni di quella bambina che si rifugiava tra i libri della sua stanzetta ad Orvieto. D’altronde, come racconta la scrittrice all’inizio del quinto capitolo del libro:

Se il terrazino si fosse affacciato sulla strada anziché sul giardino incolto di una vecchia casa disabitata, con molte probabilità avrei visto un minor numero di cose e la mia vita sarebbe andata diversamente. (Marchesini 2012: 41)

Il terrazzino dei gerani timidi è la storia di una bimba/adolescente/donna che spiega l’amore per l’ironia, la sdrammatizzazione delle figure femminili che porta sul palcoscenico e la delicatezza straordinaria con cui le descrive nei suoi romanzi. L’opera prima dell’autrice diventa, grazie alla rivisitazione dei personaggi incontrati durante l’infanzia e alla scoperta del mondo emozionale dell’innocente, piccola Anna, una tenera descrizione interiore di una nascente personalità, castrata dall’ubbidienza e dalla regola in nome di una educazione che spesso sfociava in irresponsabile e illogico fanatismo, ma che senza la quale forse non avremmo conosciuto la grande attrice comica che tutti amiamo.

2.2. Di mercoledì

Di mercoledì, il secondo romanzo dell’autrice ci trasporta in un mondo ancora più intenso e denso di emozioni che scaturiscono da ricordi di un passato, raccontandoci di esistenze sensibili, felicità perdute, a volte mai realizzate e a volte mai veramente cercate, che si incrociano ed entrano in contatto per condividere una piccola porzione di vita, nella gioia ma anche nel dolore. È quello che succede alle tre protagoniste del romanzo, stavolta lungi dall’essere paragonabili ai personaggi teatrali e televisivi dell’attrice, le cui storie sono presentate al lettore in un momento di disequilibrio, di passaggio tra il passato e il futuro, in un presente incerto, in una sorta di limbo a metà tra dolore e felicità, a cui sempre si tende ad aspirare. Questo momento di passaggio è rappresentato, nel romanzo, da un luogo concreto, che riflette la passione di Anna Marchesini per la psicologia (si laureò nel 1975 all’Università di Roma con il massimo dei voti): lo studio di una coppia di psicoterapeuti che accoglie i racconti delle vite degli altri, una sorta di teatro, di luogo abitabile, confortevole, da dove è possibile osservare storie ed eventi in attesa di evolversi, di trasformarsi.

Else, una delle tre protagoniste che incontriamo tra le prime pagine, è una donna che per tutta la sua vita è stata invisibile, in seguito ad una tragedia familiare che la rese orfana della madre e dimenticata dal padre, una donna che cerca l’affermazione e la conferma della propria esistenza in quel luogo che per lei arriverà a rappresentare un nuovo universo di cui far parte, nel quale può osservare le vite degli altri per colmare la sua solitudine. Else è costretta a sopravvivere ad una perdita che non lascia spazio se non al dolore. Una sofferenza così cupa e abitudinaria da realizzarsi nel silenzio esteriore e nei tramonti spiati attraverso il loro riflesso in uno specchio. Else ed il dramma di un dolore che non si può narrare per pudore, per paura, per vergogna, per stereotipi culturali. Ha la sensazione di non essere lei la destinataria di quello che le capita, ha l’impressione che la sua vita scorra come se appartenesse a qualcun altro, come se viverla fosse il suo incarico, si sente smarrita e prigioniera di un passato doloroso che cerca di seppellire e dal quale cerca di uscire. Lo studio psichiatrico è il suo luogo di rifugio, nel quale, durante le sedute, si limita a rimanere in silenzio e a ricordare il passato dal quale cerca di evadere, finché un mercoledì, giorno in cui la coppia di psicoterapeuti accoglie i pazienti, Else osserva di nascosto, attraverso uno spiraglio tra scaffali pieni di libri, la conversazione della seconda protagonista del romanzo, Zelda, ed il suo interlocutore, e si immerge nel suo mondo, così diverso dal suo per circostanze distinte, ma così simile per il vuoto ed il senso di solitudine che gli eventi hanno causato nell’esistenza di entrambe le donne.

Anche Zelda è prigioniera del silenzio dentro di lei. Schiava dell’impossibilità di chiedere spazio nella vita perché in fondo non saprebbe neanche lei che spazio occupare, Zelda è il riflesso di ciò che rappresenta per il marito e per gli altri, è il bisogno degli altri di riflettersi in lei. Solo un giardino fiorito, luogo in cui Zelda può essere se stessa in assoluta libertà e gioia, nasconde ciò che potrebbe diventare e che occupa tutto lo spazio che c’è.

Maria, che vive nello stesso condominio della coppia di psicoterapeuti, è la vera protagonista del romanzo, nonostante faccia la sua apparizione a metà del libro. Impossibilitata a crescere e ad attraversare il mondo delle proprie attitudini e delle proprie aspirazioni, Maria è soffocata dal troppo amore dei genitori, che l’ebbero in età già avanzata quasi per miracolo, dalla troppa protezione, dai sensi di colpa e dall’incapacità di comprendere che non tutto l’amore è “buono” anche se ha buone intenzioni. Un evento inaspettato sconvolge la vita di Maria, che improvvisamente si trova a dover scegliere se tradire i suoi genitori realizzando la sua vita o tradire i suoi sogni rimanendo loro accanto:

Era troppo per Maria, troppo il peso della responsabilità di un amore che certo ricambiava tuttavia non sarebbe stata capace di soddisfare; in qualche modo un giorno li avrebbe traditi tutti e due, oppure avrebbe tradito le sue illusioni, avrebbe tradito se stessa. (Marchesini 2013: 120)

Tre donne, tre storie di solitudine che troverà il modo di essere sconfitta, tre racconti in un libro che la Marchesini ci regala porgendolo al lettore con attenzione, con profondo rispetto verso il dolore e, soprattutto, con quella sensibilità gentile dell’ironia che coglie il dolore di sorpresa. Ed è questo il messaggio che viene veicolato dal romanzo: paradossalmente è proprio il dolore che diventa la mancata promessa di felicità, che viene sopravvalutata dagli esseri umani e resa mito. La felicità esiste grazie al dolore e viceversa, e noi inseguiamo la mitizzazione della felicità e siamo così coinvolti da questa tensione verso il mito che, quando anche ci dovesse passare accanto, non siamo in grado di esserne realmente felici.

Questo pensiero, questa visione che possiamo chiamare filosofica della vita, dato che la scrittrice ha sempre affermato di dovere molto agli scritti di Marcel Proust, viene presentata da Anna Marchesini durante un’intervista durante programma televisivo Che tempo che fa, condotto da Fabio Fazio, con una brillante metafora:

[…] quando i sub esploravano gli abissi marini dove non arriva il sole si credeva che la vegetazione e le colonie di pesci fossero incolore. Quando poi sono riusciti a portare delle telecamere dotate di luce hanno visto che gli abissi sono in realtà coloratissimi. Se si scende con la luce sicuramente non si può illuminare il buio e il mistero che deve rimanere occulto, ma puoi vedere delle cose bellissime anche nel buio e nell’oscurità. Si può anche arrivare ad una sopravvalutazione del dolore, ma non è il mio caso, perché io sono un’attrice comica.

2.3. Moscerine

Anna Marchesini decide, per il suo terzo lavoro, di pubblicare una raccolta di racconti che ama definire “romanzi brevi” anziché dei veri e propri racconti, ispirata dalla rilettura delle Novelle per un anno di Pirandello. Un lavoro incentrato sui personaggi, non più solo donne, e su minuscoli eventi che cambiano il corso delle loro vite, aspetti microscopici talvolta invisivibili dell’esistenza, insospettabili trame, elementi irrilevanti eppure capaci di ribaltare il corso degli eventi. In quasi tutte le storie presenti in Moscerine esiste un imprevisto trascurabile, un tarlo, un insetto che si insinua sornione nella trama, si intrufola, si accomoda, corrode sino a provocare il ribaltamento della trama e costringere la storia a riscrivere il finale. Mentre ci disponiamo ad osservare il disegno che incessantemente la vita traccia sulla tela dei personaggi, ci accorgiamo che uno scivolone, una carezza involontaria, una luce accesa nella casa di fronte hanno mutato del tutto la scena. E così il filo invisibile di fulminee irrilevanze (“moscerine”, appunto), in grado di travolgere gli eventi, cuce tra loro le trame dei destini della vita, ma anche della morte, facendo precipitare i personaggi da situazioni sentimentali in disgrazie irresistibilmente comiche o così indicibilmente e profondamente tragiche.

La novità principale di questo nuovo libro è l’evoluzione nella creazione di personaggi che non sono più scaturiti dalle varie signora Flora, signorina Carlo o sessuologa, come quelli che incontriamo ne Il terrazzino dei gerani timidi e non sono neppure vittime di un passato doloroso e solitario, come le protagoniste di Di mercoledì; sono persone dalle vite comuni, ritratte in momenti di passaggio, in cui prendono una decisione o modificano un tipo di pensiero che fino a quel momento, prima che un impercettibile avvenimento sconvolgesse il loro mondo, ritenevano invariabile.

Così succede alla signorina Iovis, protagonista del primo racconto, che grazie ad uno scivolone a causa del quale si storce una caviglia, si rende conto dell’inesistenza di un amore platonico che non si è mai realizzato, e che lei, nella sua innocenza e tenerezza aveva idealizzato, a Nelda che, nel momento di dover pronunciare il fatidico sì alle sue nozze con Andrea si rende conto che lui e l’amata sorella Flora sono sempre stati innamorati l’uno dell’altra e per amor suo non si sono mai concessi il loro amore, a Santo che, di ritorno dalla guerra, capisce di non essere solo come pensava, grazie all’amico Nevio e ad un’inaspettata malattia che gli porta via l’adorata moglie, o a la professoressa Maria Luce Colli, vittima del giudizio altrui, che si vede costretta a prostituirsi per pagare le cure del povero figlio malato.

Personaggi pirandelliani che si raccontano, quindi, e che simboleggiano l’interesse quasi morboso dell’autrice per la vita degli altri, che si evolve in una passione incontenibile anche verso la morte nel penultimo racconto, in cui è capace di farci entrare con estrema delicatezza e sensibilità nel corpo immobile del protagonista moribondo Casimiro Mei (forse pseudonimo della stessa Marchesini?), nei suoi pensieri, descrivendo la catarsi di un’esistenza di solitudine nell’ultimo anno della sua vita.

Il riflesso della dedizione dell’attrice al teatro appare anche nei racconti “L’odore del caffè” e “La torta nuziale”, in cui i veri protagonisti non sono più esseri umani, bensì le sensazioni causate da un odore e un oggetto simbolo di bellezza e perfezione che vengono umanizzati nella loro descrizione, attraverso l’uso di un linguaggio e uno stile, come sempre, elegante, ricercato e raffinato:

era un odore fisico quello, corposo e forte, un profumo dal richiamo carnale quasi vergognoso quasi peccaminoso. (Marchesini 2014: 70); […] quell’astronave golosa e molle che come una divinità obesa, lussuriosa, come un venerabile Buddha dal sacro ventre di panna richiamava fedeli e postulanti al pascolo […]. (Marchesini 2014: 81)

Una menzione particolare merita il racconto “Cirino e Marilda non si può fare”, adattamento del testo teatrale andato in scena nelle stagioni teatrali 2013-2014 e 2014-2015 al Teatro Piccolo di Milano. Il protagonista del racconto è il timido professore Cirino Pascarella (nome decisamente pirandelliano), la cui vita viene travolta da quella turbolenza di emozioni da cui ha sempre procurato di tenersi distante. Il professore si trova a cercare di evitare la sua padrona di casa, Olimpia, che ricorda moltissimo tutte le “femminacce” teatrali della Marchesini che attingono dalle scorbutiche signore orvietane, la quale vuole a tutti i costi fargli sposare sua figlia Marilda, ormai quarantenne, “Giovane! Snella sottile caruccia! Come un’acciuga una silfide! Tanto caruccia”. (Marchesini 2014: 233), mentre Cirino scopre di essere omosessuale dopo essere rimasto abbagliato dalla visione di un ragazzo alla finestra davanti alla sua. Cirino finalmente ha trovato un senso alla propria vita, torna ad osservare il ragazzo ogni sera, al buio, per non farsi vedere, per celare quella sua attrazione della quale, fino a quel momento, non sapeva nulla neanche lui.

“Cirino e Marilda non si può fare” è un testo intimista e sottile, che con grande delicatezza e forza espressiva narra la storia di un uomo mite e apparentemente scontato, mosso in realtà da pulsioni ed emozioni segnate da grande inquietudine, e dimostra l’abilità dell’autrice di addentrarsi, così come altri racconti di Moscerine, anche nell’universo emozionale maschile con grande delicatezza e sensibilità, raccontandoci di emozioni che vanno dalle passioni incontenibili di Cirino, la nostalgia del passato di Santo e l’incertezza riguardo il futuro di Casimiro Mei.

Moscerine, nonostante si proponga come un libro a forte carica umoristica, propone nove racconti che nascondono una vena emotiva, un’introspezione paurosa, una connotazione umana eccezionale ed una consapevolezza che la vita fa quasi timore. Anna Marchesini mette in parole la vita stessa, con la sua carica di ironia, il suo fare secco e stizzito, il ciondolio della testa (che non si vede ma chi la conosce bene può immaginare benissimo) e fiumi di parole, tante, tantissime, una dietro l’altra e alle volte senza rispettare la punteggiatura. Climax, accostamenti, sinonimi, che compongono una varietà lessicale amplissima. Non tutti i racconti sono ironici, alcuni sono emotivamente molto forti, commuovono e trattano temi molto importanti, indagano le fragilità dell’esistenza. Una grande lezione quella di Moscerine, in cui l’autrice ci dice ancora una volta la sua sulla vita e i suoi stereotipi, sulle paure che ognuno di noi ha o pensa di avere e su quelle che crediamo di non avere, in nove racconti affascinanti per il modo in cui narrano la verità, in cui colgono l’essenza dell’uomo, i suoi difetti, le debolezze, le angosce.

Anna Marchesini, autrice anche di una raccolta di poesie dal titolo Fiori di fitolacca, disponibile in formato pdf e scaricabile gratuitamente dal suo sito ufficiale, ci invita ed accoglie, con le sue opere letterarie, nel suo universo, raccontandoci cosa c’è e soprattutto chi c’è dietro ai personaggi a cui siamo tanto affezionati, chi è davvero colei che li ha creati e qual è la sua visione del mondo delle emozioni che sono dentro di noi e che si trasformano in base a ciò che ci accade. Perché Anna Marchesini è, come lei stessa ha più volte affermato, ghiotta, esageratamente interessata e “morbosamente appiccicata” alle vite degli altri, ed è per questo che, nei suoi libri, indaga così a fondo nelle esperienze passate, presenti e future dei personaggi da lei creati, commentando il tutto con ironia (ma anche auto-ironia). Un’ironia che nasce dal ribaltamento della condizione umana, da una tragedia che si trasforma in commedia, dal dolore della solitudine come individuo che a teatro, e anche nella lettaratura, prende nuovamente forma, diventa qualcosa di irresistibile per lo spettatore/lettore, qualcosa di cui non può fare a meno. Come Anna Marchesini ci raccontò qualche anno fa in un’intervista a Che tempo che fa:

Per esempio, la cecata, la signorina Carlo, che venne chiamata Carlo perché quand’è nata il padre pensava fosse maschio e neanche l’ha guardata, è una che va con questa borsettina sola per il mondo, uguale a nessuno, che è rimasta una bambina nonostante la sua età. In fondo si potrebbe raccontare come una storia patetica, invece nella sua rappresentazione teatrale la solitudine fa una specie di capriola, diventa qualcosa che lo spettatore non vuole più respingere, ma a cui si vuole avvicinare, così tanto che quando la si guarda da vicino (porca miseria!) è così bella! E questa è la vita.

Bibliografia

MARCHESINI, Anna (2012): Il terrazzino dei gerani timidi. Milano: Rizzoli.

— (2013): Di mercoledì. Milano: Rizzoli.

— (2014): Moscerine. Milano: Rizzoli.

Sitografia

Interviste ad Anna Marchesini durante il programma televisivo Che tempo che fa:

— (10/03/2012) http://www.dailymotion.com/video/xpu1f5_anna-marchesini-intervista-che-tempo-che-fa-10-03-2012_shortfilms

— (23/11/2013) http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-72ee9018-f985-4bd0-b1f1-aa96dc59dfcf.html

— (02/11/2014) http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-0c4344a5-5d4b-4ab7-b8e4-21759efc6228.html

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